Intervista a Giovanni Di Stefano

L'avvocato Giovanni Di Stefano

Giovanni Di Stefano, 51 anni, italiano originario del Molise, è uno degli avvocati italiani più noti in assoluto, soprattutto per la sua difesa dell'ex leader serbo Slobodan Milosevic alla Corte internazionale di Giustizia dell'Aja ed attualmente per il suo essere uno dei legali difensori di Saddam Hussein nel processo a Baghdad. Giovanni Di Stefano abita solitamente a Londra (per cui ha più familiarità con l’inglese che con l’italiano), dove è anche un uomo d'affari. Nel 1999, Di Stefano venne arrestato in Italia, in seguito ad un mandato di cattura spiccato in Inghilterra, per reati finanziari contestatigli riguardo dei suoi soggiorni in Serbia, e nel 2001 è stato completamente assolto: l'avvocato aveva a suo tempo affermato che si era trattato di una mossa politica per le sue scomode attività, anche considerando che, per provocare il suo arresto, erano stati falsificati dei documenti presentati alle Corti di Appello di Campobasso e Roma (in Gran Bretagna venne infatti aperto un processo per falsificazione di documenti nei confronti di un poliziotto). Giovanni Di Stefano ha anche spiegato a suo tempo diversi motivi della guerra americana all'Iraq del 2003, durante la quale il diritto internazionale venne violato anche per questioni economiche: la decisione del governo di Saddam di applicare il cambio della moneta in euro e non in dollari. L'avvocato Di Stefano, che proprio in dicembre è stato a Baghdad per incontrare Saddam Hussein, ha inoltre recentemente affermato che il suo assistito , dal punto di vista psicofisico, non sta benissimo, ma riesce a conservare una propria forza ed un proprio equilibrio. Comunque, l'avvocato Di Stefano è accreditato anche in alte sfere dell'amministrazione americana, dalla quale ha di recente ricevuto un incarico giudiziario. Tuttavia ciò, ha spiegato anche lo Studio Legale Internazionale di cui è alla direzione, non pregiudica il suo ruolo di difensore dell'ex raìs irakeno, anzi lo rafforza. Infatti, in questa intervista lo stesso Giovanni Di Stefano afferma che i due incarichi da lui detenuti contemporaneamente possono celare una mossa politica dell'amministrazione Bush per evitare che Saddam Hussein, sul quale pende una condanna a morte, sia realmente giustiziato. Infatti, le autorità statunitensi, che detengono la custodia legale di Saddam, logicamente non potrebbero che almeno rispettare un successo di Giovanni Di Stefano nel riuscire ad evitare l'esecuzione dell'ex presidente irakeno. Tutto ciò, anche perchè il seguito di Saddam è ancora forte in terra irakena (solo per il 50% di questi Saddam è un criminale, mentre oltre il 90% è favorevole al ritiro delle truppe angloamericane e dei loro alleati dal Paese), ed una sua soppressione potrebbe scatenare un conflitto ventennale nel già turbolento Medio Oriente. Non a caso, tra le moltissime prese di posizione contrarie all'impiccagione di Saddam, ci sono state anche quelle di Tony Blair (che ha mutato la sua originaria posizione in merito), del governo regionale curdo del Nord dell'Iraq, dello stesso presidente curdo dell'Iraq Jalal Talabani. Inoltre, Giovanni Di Stefano traccia paralleli e discontinuità tra i casi di Slobodan ("Slobo") Milosevic, morto di recente all'Aja, e di Saddam Hussein, oltre ad illustrare alcuni motivi dell'iniquità del modo in cui è stato condotto il processo a quest'ultimo (per il quale sarebbe stato meno pericoloso un processo in Europa e perfino negli Stati Uniti, se con giudici irakeni e con le dovute garanzie per la sua incolumità), controllato dalle stesse forze artefici di guerra ed occupazione, ma rimanendo fiducioso nella possibilità che, anche per realismo politico, verrà evitata l'uccisione del suo assistito.

1) Avvocato Di Stefano, lei, alla direzione di uno Studio Legale Internazionale, è il legale di fiducia di Saddam Hussein, e nello stesso tempo ha ricevuto un incarico dall'attuale amministrazione americana di Bush. Di quale tipo d'incarico si tratta? Pensa di avere avuto questa nomina per una grande fiducia nel suo operato, che, a suo parere, renderebbe un suo possibile successo sul caso di Saddam rispettabile anche dalla Casa Bianca?

La Corte statunitense del Distretto della Columbia ha nominato me per accettare l'assistenza per Saddam Hussein, che è la porta di servizio, la via per l'amministrazione Bush per assicurare che Saddam Hussein non sarà giustiziato, almeno per il momento. L'effettiva esecuzione di Saddam sarebbe non solo causa di un bagno di sangue in Iraq, ma infiammerebbe il già instabile Medio Oriente. Il processo civile a Washington DC può essere usato e sta venendo usato per assicurare che gli Stati Uniti non consegnino Saddam Hussein agli irakeni per l'esecuzione. Significa che l'amministrazione Bush ha fiducia in me? Essi piuttosto hanno più fiducia in loro stessi e nel loro sistema giudiziario!


2) Lei è stato anche consigliere personale e poi difensore del leader serbo Slobodan Milosevic e ora è difensore di Saddam Hussein. Sono casi diversi con strategie diverse oppure simili?

Le imputazioni, per farla breve, sono familiari, ma Saddam e Slobo erano e rimangono uomini differenti, salvo che entrambi hanno avuto un imperituro amore per il loro Paese. Milosevic venne processato prima da una Corte convenientemente costituita, mentre Saddam ha un circo invece di una Corte, che non è rispondente neppure alle basi degli standard legali.


3) Avvocato, lei si sta impegnando per bloccare l'impiccagione dell'ex presidente irakeno: in che modo ritiene di poterci riuscire? Sarebbe possibile, ad esempio, per evitarla definitivamente, consegnare Saddam Hussein ad un Paese terzo, con maggiori garanzie di neutralità, e dove non viga la pena di morte?

La Convenzione di Ginevra permette ad una ex forza di occupazione di mantenere la custodia e/ o l'esecuzione di una persona imputata, come per esempio nel caso di Hess [il “delfino” di Hitler, che scontò l’ergastolo in Germania, n.d.r.]. Saddam non sarà giustiziato. Se la sentenza di carcerazione è confermata, egli sconterà ciò in uno dei tre Paesi [il riferimento è all’Iraq, agli U.S.A ed al Regno Unito, nd.r.]


4) In una eventuale Corte al di fuori dell'Iraq, si potrebbero però eventualmente coinvolgere anche giuristi arabi irakeni e curdi, per coinvolgere comunque il Paese di origine dell'imputato in questa vicenda?

Il caso sarebbe stato di gran lunga più credibile se fosse stato tenuto fuori dall'Iraq, dove almeno egli sarebbe stato al sicuro. Non sarebbero importati né gli avvocati né i giudici. Al Maghari dalla Libia [uno dei due agenti di Gheddafi accusati di un attentato ad un aereo civile nei cieli della Scozia, precipitato nel 1988, causando la morte anche di alcuni abitanti della cittadina di Lockerbie, n.d.r.] ha avuto un onesto processo in Hague [in Olanda, n.d.r.] con giudici scozzesi. Saddam sarebbe dovuto essere processato in Italia, Regno Unito, Germania, perfino negli Stati Uniti con giudici irakeni. Almeno il processo sarebbe stato trasparente ed onesto. Invece è stato come un circo.

5) Considera che il processo svoltosi a Baghdad contro Saddam Hussein sia stato iniquo, così, e se sì per quali motivi?

Non è stato in nessun modo un processo giusto o appropriato, per le ragioni citate.


6) Quanti sono gli avvocati che si stanno impegnando nella difesa di Saddam Hussein, e da quali nazioni provengono?

Io ed un altro avvocato siamo italiani, un mio collega è americano, ed in Iraq c’è Khalil, dell’Ordine degli Avvocati irakeni.. Ci sono altri consulenti dalla Giordania ed il signor Clarke dagli U.S.A..

Intervista e traduzione dall’inglese di

[Questo articolo è stato pubblicato sui seguenti giornali: Caserta24ore, Deasport, Corriere di Aversa e Giugliano, Rinascita, RNN (Rojname News Network, testata curda in nove lingue), Ciaoeuropa]



Antonella Ricciardi , 7 dicembre 2006