Intervista con il magistrato Paolo Albano

Nel dialogo che segue sotto, Paolo Albano, magistrato particolarmente impegnato nel perseguire  reati connessi al danneggiamento all'ambiente, alla camorra, ed al terrorismo, si occupa del più singolare dei processi in cui è stato impegnato: quello, di valenza storica, relativo alla strage, per mano nazista, di 22 contadini di Caiazzo (CE), compresi donne e fanciulli... La carneficina era avvenuta il 13 ottobre 1943: lo stesso giorno, per una sinistra concomitanza di eventi, della dichiarazione di guerra dell'Italia alla Germania... concomitanza forse non casuale, dato che un così importante evento storico potrebbe avere reso ancora più incandescente il clima politico-militare, in uno scenario già devastato dalla battaglia del Volturno, tra anglo-americani e tedeschi... Gli eventi di quella tragica notte del '43 rivivono nella narrazione di un libro, edito da Mursia, scritto dallo stesso Paolo Albano, assieme al giornalista Antimo Della Valle, dal titolo "La strage di Caiazzo 13 ottobre 1943": opera non solo storica, ma anche caratterizzata da intense riflessioni filosofico-esistenziali, e che approfondisce anche sul piano storico e giuridico, la tormentata vicenda, rimasta in sordina per decenni...tanto che il principale imputato, Emden, poi divenuto un apprezzato architetto, era tornato più volte in Italia, per le sue vacanze estive... La vicenda, peraltro, è controversa, e tuttora oggetto di dibattito storiografico: un punto fermo, in essa, è il dato relativo all'assassinio di civili innocenti... tuttavia, i motivi del massacro rimangono dibattuti: l'unico imputato rintracciato dopo quasi 50 anni, Wolfgang Lehnigk-Emden, sottotenente della Wehrmacht, aveva sostenuto di avere agito in reazione a presunti segnali luminosi (da lui non visti personalmente, ma riferitigli, a suo dire) che alcuni contadini della zona avrebbero indirizzato, a più riprese, verso le truppe alleate, e di non essersi reso conto, a causa del buio, che vi fossero anche civili rimasti in un casolare, argomentando pure che segni di violenze ulteriori sui cadaveri delle vittime sarebbero stati opera di provocatori partigiani...versione che, durante il processo, conclusosi con la condanna all'ergastolo dell'imputato, non ha trovato particolari riscontri, dato anche che il Sud italiano non fosse una zona in cui fossero frequenti le azioni di formazioni partigiane... La ricerca storica, così, continua ad alimentare un dibattito sulle motivazioni della strage, mentre l'iter giudiziario italiano si è concluso con una condanna all'ergastolo, in un primo grado poi divenuto definito per la mancanza della promozione di appello da portare avanti, e con un imputato contumace, che non scontò la condanna, ma solo un periodo di carcerazione preventiva... ciò a causa delle differenze tra i sistemi giudiziari italiano e tedesco: in particolare, il reato attribuito ad Emden era stato suddiviso, in Germania, in due differenti imputazioni cioè in omicidio doloso semplice, relativo al primo gruppo di persone prelevate dal casolare, che cadeva in prescrizione dopo 15 anni, ed omicidio doloso aggravato, relativo al secondo gruppo di persone, decedute nel casolare; per il secondo caso, la prescrizione era trentennale. Negli 1975, il nuovo codice penale tedesco non ammise più la prescrizione per reati di omicidio, ma il suo valore non fu retroattivo; le autorità giudiziarie germaniche non considerano "sospesa" la legalità al tempo del Terzo Reich, per cui i 30 anni per calcolare la prescrizione dovettero essere calcolati esattamente dal 13 ottobre 1943, facendo risultare l'atto delittuoso prescritto dal 1973. Non così la vicenda venne valutata dalle autorità giudiziarie italiane, che considerano la strage, sia pur in due atti, frutto di un unico crimine, e che vollero sottolineare il principio, anche morale, del perseguire reati di assassinio anche a notevole distanza temporale dagli eventi in questione....

Ricciardi: “Ricordando che lei è stato pubblico ministero nei confronti di Lehnigk-Emden, il militare tedesco imputato e poi condannato per la strage di civili italiani a Caiazzo, può  in estrema sintesi, esprimere quali aspetti l'abbiano toccata maggiormente, anche umanamente, di questa vicenda,  tanto intensamente tragica?"

Albano: “Come ho scritto nella pagina iniziale del libro dedicato alla vicenda “L’inchiesta sulla strage di Caiazzo ha segnato profondamente la mia vita di uomo e di magistrato.”

E non poteva essere diversamente. Aver vissuto il ruolo di pubblico ministero, sia nella fase delle indagini preliminari sia in dibattimento dinanzi alla Corte d’Assise, in una vicenda storica e giudiziaria davvero unica e irripetibile, non poteva non lasciare in me un segno indelebile. Questa storia, che ha visto contrapporsi intensamente il bene ed il male, la giustizia e l’ingiustizia, si presenta avvincente ed interessante sotto molteplici profili. Innanzitutto sotto il profilo storico, in quanto ci proietta in uno dei periodi più tragici per l’Italia del secondo conflitto mondiale, allorché dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 le popolazioni civili italiane furono abbandonate dalla classe dirigente alla furia nazista, che infierì su di esse con inaudita ferocia. Seguì una lunga serie di stragi di civili e quella di Caiazzo del 13 ottobre fu tra le prime ad essere consumate.

Sotto il profilo giudiziario, poi, il caso si rivela davvero straordinario, in quanto l’inchiesta che condussi quale Sostituto Procuratore di Santa Maria Capua Vetere prese le mosse quarantacinque anni dopo i fatti e il processo in Corte d’Assise a carico dei criminali nazisti, responsabili dell’eccidio, si concluse dopo cinquantuno anni.

Ma è soprattutto il profilo umano di questa storia che appare   assolutamente coinvolgente, tenuto conto che delle ventidue vittime di civili ben diciotto erano donne, ragazzi e bambini.

Il loro eccidio, per di più, non ebbe motivazione in alcun evento di natura bellica, ma fu determinato unicamente dall’odio che i tedeschi nutrivano in quel momento nei confronti degli italiani. Furono uccisi così a sangue freddo e, come scrisse il giornalista americano William Stoneman, “senza traccia di provocazione”.

                                                                                                    

 

 

Particolarmente commovente è, pertanto, l’aspetto umano della vicenda, che vede la fine struggente di quattro famiglie, sterminate in tutti i suoi componenti. Mi piace anzi ricordare che una delle donne uccise era incinta e ho voluto, pertanto, dedicare il libro “a un bambino mai nato,trucidato dai nazisti nel grembo della madre, la ventitreesima vittima della strage di Caiazzo.”

Ricciardi: “Nell'anno 2013 è stata pubblicata, appunto, una sua opera, dal titolo La strage di Caiazzo 10 ottobre 1943" dedicata a questo drammatico avvenimento ed ai suoi sviluppi storico-giudiziari, scritta in collaborazione con il giornalista Antimo Della Valle: in tale libro, che oltre ad essere un testo storico, ha anche un'attenzione particolare ad aspetti umani, ed uno stile, a tratti, letterario, lei evidenzia anche una delle principali difficoltà connesse a questo procedimento giudiziario, cioè un modus operandi dei vari governi, che cercavano di evitare l'estradizione di persone imputabili per crimini di guerra di una parte, perchè ciò avrebbe potuto suscitare richieste analoghe dall'altra parte...  Tali estradizioni non sarebbero convenute a nessun governo, quindi...In questo modo, si spiegherebbe la situazione, apparentemente paradossale, del sotto-tenente Emden, accusato di essere un criminale di guerra nazista, ma trattato in modo lassista dagli Alleati anglo-americani, e non perseguito dai comunisti della Germania dell'Est, cioè, appunto, non ricercato da quelli che erano stati i suoi nemici ideologici... Può spiegare in modo più ampio questo tipo di situazione, ed il modo in cui si è sbloccata?”

Albano: “La strage di Caiazzo, così come gli altri eccidi nazisti che si susseguirono dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943, furono troppo presto dimenticati. Sull’altare della “Ragion di Stato” si sacrificarono le uccisioni di migliaia di civili italiani, specie del centro-sud della nazione, tenuto conto che la situazione della politica internazionale mutò radicalmente in breve spazio di tempo dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Nel libro da lei citato sono spiegati i motivi per i quali sulle predette stragi scese un sinistro silenzio, protrattosi per quasi mezzo secolo, tanto che le stesse scomparvero dalla storiografia di quel periodo e non fu attivato alcun processo nei confronti dei responsabili. Si giunse perfino a seppellire in un armadio – definito “l’armadio della vergogna” – presso la Procura Generale Militare di Roma 695 fascicoli processuali relativi a crimini commessi da militari tedeschi in Italia in quel tragico periodo.

In questa sede posso sinteticamente riferire che la volontà di non procedere e di negare giustizia a tante vittime innocenti fu conseguenza dell’instaurarsi della cd. guerra fredda fra il blocco occidentale e quello sovietico, che impose la decisione da parte della NATO di riarmare la Germania dell’Ovest e di affidarle un ruolo rilevante nel quadro politico e militare dell’Occidente che si configurava nei confronti dell’Unione Sovietica. Questo gioco di alleanze fece sì che, dopo gli unici casi di Reder e Kappler, non furono aperte inchieste giudiziarie e men che mai processi nei confronti dei militari tedeschi autori di eccidi nei confronti di civili italiani.

 

 

                                                                                                      

Gli storici Filippo Focardi e Lutz Klinkhammer hanno, poi, individuato tale volontà di occultamento delle stragi in un preciso disegno politico del governo italiano, in quanto si intendeva limitare le rivendicazioni nei confronti dei criminali di guerra tedeschi per paura che un’azione energica contro la Germania si ritorcesse a danno dell’Italia, impegnata a proteggere i propri cittadini reclamati.

Anche l’Italia, infatti, contava dei criminali di guerra, autori di uccisioni di civili nel periodo dell’alleanza nazifascista, per cui la loro impunità fu barattata con l’occultamento delle responsabilità dei nazisti in Italia, proprio al fine di evitare che altre nazioni  chiedessero l’estradizione di cittadini italiani.   Quando, dopo quasi cinquant’anni, iniziai ad indagare sui tragici fatti di Caiazzo, la situazione internazionale era totalmente mutata e da poco era stato abbattuto il Muro di Berlino. Solo per tale motivo, ma pur tra mille difficoltà, riuscii nell’impresa di scovare i responsabili dell’eccidio.”

Ricciardi: “Due sono stati i procedimenti penali nei confronti di Emden, uno italiano, iniziato per primo, ed uno tedesco, e la loro sovrapposizione ha fatto sì che l'imputato, pur condannato all'ergastolo dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere per la carneficina di Caiazzo, non abbia poi scontato la pena, e sia stato detenuto solo in precedenza, in forma preventiva... Può illustrare, per chi fosse poco informato, cosa sia accaduto, e cosa differenziasse i due differenti approcci, italiano e tedesco?”

Albano: “Dopo circa due anni dall’inizio della mia indagine mi resi conto che per giungere ad una conclusione positiva dell’inchiesta non potevo fare a meno della collaborazione delle autorità germaniche. Fu  questo il motivo per cui nel 1990 informai tali autorità che procedevo nei confronti degli autori della strage. Ciò comportò che anche la Procura della Repubblica di Coblenza decise di aprire un analogo procedimento in Germania. La vicenda si caratterizza, quindi, anche sotto quest’aspetto per la sua singolarità, in quanto ci trovammo a procedere parallelamente in due Paesi diversi, senza che nessuna delle due Procure, la mia e quella di Coblenza, rinunziasse alla sua giurisdizione. In realtà i due procedimenti sono stati profondamente diversi sia nella contestazione in fase di indagini e sia purtroppo nell’esito dei rispettivi processi.

In Germania, infatti, si decise di non procedere per l’uccisione dei primi sette italiani, avvenuta dinanzi al Comando tedesco, ritenendosi – erroneamente, a parere mio e dei giudici italiani – prescritto tale reato, in quanto riconducibile ad una rappresaglia per il lancio di segnalazioni luminose verso gli americani. Per l’uccisione, invece, di quindici tra donne e bambini il processo si concluse con la dichiarazione di prescrizione del reato, fondata su complessi cavilli giuridici che ho ricostruito nel libro edito da MURSIA.                                                                                          

 

In Italia, invece, contestai ai due imputati un unico delitto, quello di omicidio volontario plurimo, continuato e aggravato, dovendosi ritenere l’esecuzione dei ventidue civili italiani consumata in esecuzione del medesimo disegno criminoso. Anche la sentenza della Corte d’Assise di S.Maria Capua Vetere è stata radicalmente diversa da quella tedesca, in quanto gli imputati sono stati condannati all’ergastolo. Purtroppo tale sentenza non ha potuto trovare esecuzione, in quanto, rimanendo gli stessi sul territorio germanico, la Costituzione tedesca, all’epoca vigente, ne impediva l’estradizione.”

Ricciardi: “Il movente della strage di Caiazzo è stato spesso ritenuto controverso, e diversi studiosi hanno ritenuto non si fosse fatta piena luce su di esso, fermo restando, comunque, la natura delittuosa degli atti compiutisi quella notte: può illustrare, per coloro che non conoscessero ancora bene tale storia, quali fossero le principali tesi al proposito, e quale sia la sua idea al riguardo?”

Albano: “Il movente della strage di Caiazzo è rimasto oscuro per quasi cinquant’anni ed ancora oggi è oggetto di discussione di storici e giuristi, nonostante una larga parte della motivazione della sentenza della Corte d’Assise sia dedicata proprio al predetto movente.

Ritengo, pertanto, che la risposta alla sua domanda debba ancorarsi alle conclusioni della Corte, che ritenne di accogliere in tal senso le mie conclusioni esposte in requisitoria.

Furono valutate, infatti, le varie ipotesi prospettatesi e tutte furono ritenute inattendibili, alla luce delle risultanze processuali. In particolare:  

-          fu escluso che i contadini italiani avessero lanciato segnalazioni luminose al nemico. I giudici hanno ritenuto, infatti, che tale falsa notizia fu diffusa dal tenente Emden solo “per accampare un pretesto per fornire ai commilitoni una qualche giustificazione del proprio operato”, volendo il giovanissimo ufficiale gloriarsi quella tragica sera di aver sventato e punito un atto di sabotaggio. In realtà per la conformazione delle colline di Monte Carmignano era assolutamente impossibile trasmettere dalla casa colonica ove erano i contadini segnali nella valle sottostante. Questi ultimi, del resto, non conoscevano di certo i segnali “morse”, da lanciare per di più con inadatte lampade da stalla.

-          fu esclusa anche l’altra ipotesi che Emden si fosse presentato ai civili italiani travestito da ufficiale inglese e avesse loro chiesto dove fosse il nemico, ricevendo in risposta l’indicazione del                 Comando tedesco. Da qui la rappresaglia.                                 

Anche tale versione, mai confermata dallo stesso imputato, fu ritenuta inverosimile.

Eppure, dopo i fatti, era entrata a far parte del racconto popolare, trasmodando quasi in leggenda, tanto da essere ripresa perfino da Benedetto Croce nella sua epigrafe dedicata ai ventidue martiri.

-          fu esclusa la presenza di partigiani nel casolare e un loro presunto attacco nei confronti dei militari tedeschi. Questa fu solo una palese bugia dell’imputato Emden, smentita non solo dai testi escussi ma anche dal dato storico che all’epoca e in quella zona non operavano formazioni partigiane.

-          fu escluso che gli italiani avessero dato ospitalità a soldati americani. Tale tesi, neppure prospettata dagli imputati, era smentita anche dalla circostanza che nessun cadavere di soldato americano fu rinvenuto sul luogo dei fatti.

-          fu escluso che i civili italiani furono uccisi per non avere osservato l’ordine di evacuazione della città di Caiazzo. Lo storico Capobianco provò, infatti, al processo che i tedeschi tolleravano da tempo la presenza degli italiani nei casolari, in quanto faceva loro comodo utilizzarli per vari lavori o per rifornirsi di generi alimentari.

-          fu anche escluso che la barbara uccisione si collegasse in qualche modo a violenze sessuali sulle donne, che fortunatamente non risultavano poste in essere.

Escluse, pertanto, queste varie ipotesi, una sola, come ho scritto nel libro, era la logica e incontrovertibile conclusione: il movente della strage affondava le sue radici unicamente nell’odio. Nell’odio più barbaro e feroce che un essere umano possa provare.  

     La Corte d’Assise ha accertato una verità storica e giudiziaria, affermando in motivazione che l’uccisione di uomini, donne, ragazzi e bambini “non fu certamente un’operazione di guerra e la condotta criminosa di Emden e Schuster fu tale da costituire un’ignominia indelebile per lo stesso esercito cui essi appartenevano. I motivi determinanti l’eccidio possono essere fondatamente individuati nella intolleranza e nell’astio che i militari tedeschi nutrivano nei confronti del popolo italiano, dal quale si erano sentiti traditi dopo il clamoroso annuncio dell’Armistizio, sentimenti esasperati dalla situazione contingente”.                                                                           

Nella fanatica visione nazista quella sera quei poveri contadini italiani non erano altro che “traditori”. E in quel periodo la vita di un “traditore” valeva meno di nulla.”

Ricciardi: “Lei aveva ottenuto un fondamentale riconoscimento della impostazione del suo lavoro, con la condanna di Emden per i crimini per i quali era stato ricostruito si fosse macchiato...tuttavia, a parte la mancata esecuzione della pena, lei ha lamentato chiaramente gli ostacoli posti al suo lavoro da parte di qualche componente della stessa magistratura italiana, che non ha promosso l'estradizione di Emden, ha tentato di ridurne la condanna a vent'anni, ed ha ritardato per lungo tempo la stessa pubblicazione della motivazione della sentenza... Si è fatto un'idea delle motivazioni di tali tentativi, volti quasi a delegittimare il suo operato?”

Albano: “Lei ha usato il termine più appropriato. L’intento di chi giunse a chiedere l’assurda applicazione di un condono per due spietati autori di un crimine contro l’umanità e addirittura a non pubblicare la sentenza di condanna, perché…costava troppo, non fu altro che lo squallido tentativo di delegittimare non solo la mia indagine ma anche lo stesso processo della Corte d’Assise. Lo scopo era quello di affermare l’inutilità di un processo a carico di militari contumaci e per fatti tanto distanti nel tempo. Chi volle porre in essere quella spregevole condotta non si rendeva conto che una sentenza che rendeva finalmente giustizia a ventidue innocenti martiri non poteva essere inutile. Quella sentenza restituiva dignità di esseri umani a uomini, donne e bambini massacrati “a sangue freddo e senza traccia di provocazione”. Ma restituiva anche il loro sacrificio alla storia del popolo italiano, in nome del quale era stata pronunciata.”

Ricciardi: “A proposito del valore morale che rimane, riguardo la condanna di Emden, quanto pensa che rimanga, nella memoria collettiva, il ricordo dei poveri contadini (anche donne e bambini), trucidati a Caiazzo? Si trattava di una memoria molto viva anche prima del processo?”

Albano: “Prima dell’indagine e del processo la strage era rimasta impressa per lungo tempo unicamente nel cuore e nel ricordo dei soli parenti delle vittime e della popolazione caiatina. Il terribile eccidio, infatti, per i motivi cui in precedenza abbiamo accennato, scomparve dalla memoria collettiva per quasi mezzo secolo, unitamente alle altre centinaia di stragi naziste consumate in Italia dopo l’8 settembre 1943.”

 

Ricciardi: “Dopo il primo grado di giudizio conclusosi con una condanna all’ergastolo (con la sola esclusione dell’aggravante della premeditazione) per Emden ed il suo commilitone Schuster, gli avvocati della difesa non hanno portato avanti l’appello: ha idea del perché? L’interrogativo sorge dato pure il verdetto particolarmente sfavorevole all’imputato…”

 

Albano: “I difensori degli imputati Emden e Schuster dinanzi alla Corte d’Assise furono tutti italiani e li difesero con grande professionalità. Essi proposero anche appello dopo la condanna all’ergastolo, ma subito dopo entrambi gli imputati revocarono loro l’incarico, in quanto si ritenevano ormai sicuri di non essere estradati – essendo all’epoca vietato dalla Costituzione tedesca – e non vollero affrontare le spese del processo d’appello, rendendosi anche conto che una sentenza di assoluzione era del tutto improbabile.

Fu questo il motivo per il quale gli avvocati rinunciarono all’appello proposto.”        [Questo servizio è stato pubblicato nella versione on line del giornale Dea Notizie, e sui giornali telematici Caserta24ore, Corriere di Aversa e Giugliano, Ciao Italia]          Introduzione e quesiti di



Antonella Ricciardi , Intervista ultimata il giorno 8 gennaio 2014