Intervista a Maurizio Neri

Maurizio Neri

"Comunisti nazionalitari": è questa la definizione più precisa per una delle componenti politico-filosofiche interne al Campo Antiimperialista, uno dei movimenti della galassia di sinistra radicale. Più noti con la denominazione di "comunitaristi", a differenza di alcune omonime correnti di estrema destra (dalle quali tengono a sottolineare distanze e differenze, soprattutto sui temi dell'eguaglianza e dell'etnocentrismo), i comunisti nazionalitari sono di cultura marxista, della quale, in particolare, valorizzano il concetto, di solito posto in ombra, di comunità, ( in tedesco, lingua originale de "Il Capitale" di Marx, "Gemeinwesen"), ritenendo che un errore storico del comunismo applicato sia stato il non essere stato bene assimilato dai corpi intermedi della società (famiglie, comunità locali, ecc...), mentre si era cercato di affermarlo soprattutto con la forza dell'apparato statale. I comunisti nazionalitari-comunitaristi (cn-c), uno dei cui filosofi di riferimento è il torinese Costanzo Preve, sottolineano inoltre l'importanza dei concetti di Patria e di nazionalità, anch'essi, non di rado, ingiustamente sottovalutati da una parte della sinistra. Su questi ed altri argomenti si esprime nell'intervista di cui sotto Maurizio Neri, romano, leader nazionale e coordinatore dei comunisti nazionalitari, che offre una gamma di molto approfondite analisi politico-filosofiche anche sul perverso meccanismo capitalista della concorrenza senza fine, sui due poli facce della stessa medaglia, sul sostegno del gruppo ai movimenti di liberazione nazionale nel mondo, oltre che del suo impegnarsi a favore della giustizia sociale. Per saperne di più sui comunisti nazionalitari, si possono consultare, in particolare, un forum loro riservato sul sito Politica on line (www.politicaonline.net) e, soprattutto, due testate giornalistiche di carta stampata (delle quali Neri è direttore politico): il trimestrale Comunitarismo (una parte dei cui articoli viene riportata sul sito www.comunitarismo.it) ed il quadrimestrale Comunità e Resistenza.

1) Sei alla guida dei Comunisti Nazionalitari, che ormai da diversi anni sono diventati una delle componenti del Campo Antiimperialista. Quali sono le peculiarità della corrente di pensiero comunitarista rispetto alle altre anime dell'organizzazione?

Precisiamo anzitutto che il Comunitarismo al quale ci rifacciamo è una corrente di pensiero che si sviluppa da alcuni anni grazie all’apporto di molte persone che hanno iniziato a studiare un nuovo approccio al marxismo, soprattutto al nesso tra individuo e Comunita’ intesa nel senso marxista di Gemeinwesen , cercando di proporre un nuovo impulso ed una prospettiva al fallimento del “socialismo reale” che si è frantumato ben prima del fatidico crollo del Muro di Berlino. Io penso che il nostro apporto teorico e pratico al Campo sia stato quello di aver dato il giusto rilievo al fattore nazionalitario che è stato assente dal dopoguerra ad oggi nel campo comunista e che ha portato ad equivoci e fraintendimenti nei confronti dei movimenti di liberazione nazionale nel mondo che ancor oggi non sono percepiti come tali da molta parte della sinistra italiana. Ma qui si aprirebbe anche un capitolo di riflessioni sulla deriva liberal della sinistra e sul suo ottundimento nell’inseguire autentiche chimere come il negare che esistano culture e nazionalita’ che lungi dall’essere fattori transeunti innervano il socialismo nella sua lunga storia di emancipazione sociale dell’Umanita’. Un altro aspetto dei Comunisti nazionalitari è che non intendono in alcun modo “rifondare” il Comunismo ergendosi a paladini di un “purismo identitario” che ormai è anch’esso anacronistico e fuori tempo massimo, ma rifiutando ogni settarismo e gruppuscolarismo, intendono porre all’attenzione di tutta la societa’ italiana, temi quali l’antiimperialismo, l’anticapitalismo, la democrazia consiliare e il rapporto tra diritti individuali e la Comunità , intesa come un luogo dinamico e non razziale o gerarchizzato, di libere individualita’. Per dirla con Preve per noi Il Comunismo non è una societa’ socialista ulteriormente livellata ed egualizzata , ma è una Comunita’ di libere individualita’. Nell'ottica di un'ipotesi di liberazione sociale, promuoviamo un'idea che muova dalla necessità di rifondare un tessuto comunitario e di classe oggi quasi inesistente e percorso da grandi inquietudini, in gran parte ascrivibili alla cultura atomistica di matrice liberal, nelle sue varianti di destra e di sinistra, che non riesce però a soffocare l'anelito umano alla socializzazione ed alla comunità di appartenenza. Una comunità che noi oggi vediamo in balìa di un pensiero unico ad egemonia americana, che soffoca ogni aspirazione culturale creativa, che vada oltre la mercificazione della vita stessa e la sua quantificazione in termini utilitaristici, alimentando in un circolo vizioso intolleranza, razzismo e xenofobia. La situazione impone una mirata ricerca di terreni di unità d’azione i più vasti possibili, sul piano di una pratica sociale articolata sui bisogni “proletari”, tale urgenza non deve ricadere sull’obiettivo: la rivisitazione/rielaborazione critica di un programma strategico comunista.Le realtà che hanno iniziato questo primo passo hanno storie differenti, percorsi diversi, ma si riconoscono in una matrice comune, che è quella di una critica radicale all'attuale sistema economico e sociale ed alla necessità di un'alternativa di stampo socialista e comunitario. La questione nazionalitaria, da sempre fattore progressivo di liberazione per i popoli, è oggi ostaggio, da una parte, di un'ideologia 'occidentalista', tendente a mobilitare i popoli europei contro il resto del mondo per perpetuare la situazione di dipendenza e di sfruttamento, e, dall'altra, da 'nazionalismi' di stampo reazionario, che danno spazio a pericolose derive etnocentriche ed islamofobiche.La stessa idea comunista è anch'essa ostaggio di chiesastiche interpretazioni che spaziano dal 'veteromarxismo' alla disinvolta accettazione, da parte di tanti, della globalizzazione capitalistica e dei suoi effetti devastanti. Ricostruire il 'filo rosso' che unisce la questione nazionalitaria ad una nuova idea comunitarista, che si orienti verso un'alternativa di valori e di programmi, è una sfida difficile, ma non impossibile, ed è quello che si ripropongono le realtà e le persone che hanno aderito a questo Progetto. Anticapitalismo, anti-imperialismo, democrazia consiliare e nazionalitarismo sono per noi anelli di una medesima catena che devono trovare un progetto comune ed un circuito di diffusione.

2) Cosa significa essere un comunitarista di sinistra? Te lo chiedo anche perchè lo stesso termine "comunitarismo" è stato utilizzato anche da gruppi d'ispirazione fascista, rispetto ai quali voi tenete a sottolineare delle precise distanze... E c'è qualcos'altro che desideri sottolineare, rispetto all'immagine che di voi danno alcuni mezzi di comunicazione?

Guarda ti rispondo subito dicendo che noi ci riteniamo Comunisti e non di “sinistra” e gia’ questo dovrebbe chiarirti molte cose. Il Comunitarismo sconta purtroppo le idee che negli anni sessanta sono state diffuse nel mondo dell’estrema destra da Thiriart e che sono state poi riprese sempre a destra da altri negli anni Novanta. Ma è un “falso comunitarismo”, perche’ presuppone una Comunita’ chiusa , etnicamente o razzialmente omogenea, totalitaria nel suo aspetto e intrisa di un organicismo gerarchico completamente opposto al Comunitarismo nella sua vera essenza, per questo io preferisco il termine “Comunismo Nazionalitario”. Il nostro Comunitarismo parte dall’analisi degli scritti “dei communuatarians “ americani come Etzioni e Mac Intyre, di cui pero’ critichiamo l’impostazione di fondo che è strettamente liberale, pur riconoscendone la validita’ soprattutto per quanto riguarda il nesso tra liberta’ individuali e Comunita’, per quindi riconoscere che la Comunita ’ è una realta’ dinamica, in perenne trasformazione, di tipo aperto, che è il luogo dove la liberazione sociale si lega a quella comunitaria in un nesso inscindibile. La nostra concezione è che il comunismo deve ripartire dalle “comunita’” , deve riappropriarsi della storia e della cultura popolare e soprattutto deve legare la lotta delle classi dominate al fattore di appartenenza al “luogo spaziale” di cui parlavo prima. La Comunita ’ come luogo di relazione sociale, gli individui, è contemporaneamente contro il capitalismo visto come modello di disgregazione e di sfruttamento e contro derive burocratico -totalitarie come quelle imboccate dall’Urss, per un modello comunista libertario, democratico e consiliarista. Il Comunitarismo è marxista, nel senso che riconosce alle classi dominate il compito di trasformare le strutture economico-sociali in senso Comunista, e di Marx riprende l’analisi dei rapporti di produzione capitalistici. In quanto tale, i CN ritengono completamente errata la concezione di democrazia occidentale basata sul rapporto mercantile e sulla produzione, sullo scambio e sul consumo che disgrega il soggetto come cellula individuale partecipante di una comunità e favorisce, fino a renderlo patologico, l’atomismo individualista ed egocentrico. Secondo noi oggi è determinante per segnare la vera discontinuità con la forma mentis contemporanea, articolare una critica del liberalismo filosofico, dell’individualismo e dell’ideologia malsana e meschina della concorrenza ( cioè del tutti contro tutti ) . La cultura liberale, oggi vero e proprio Moloch pedagogico di massa, tende ad alienare e disgregare non solo qualsiasi legame comunitario e che abbia la minima parvenza solidarista ( legame di classe, familiare, religioso) ma la stessa coscienza individuale della persona vista essa stessa come merce di scambio e produttrice di valore di scambio con le devastanti conseguenze di cui leggiamo sui giornali ogni giorno con l’emergere di vere e proprie “patologie sociali” di cui pero’ non si spiega l’origine: il liberalismo . Per questo motivo, considerando l’imperialismo ed il capitalismo come intrinseci della cultura liberale e liberista, della democrazia rappresentativa occidentale e del centro capitalista del mondo, il comunitarismo dei CN si pone come fortemente e fermamente antimperialista ed anticapitalista, proponendo una cultura ed una società comunista, basata sul concetto di “comunità umana universale” (chiamata da Marx “Gemeinwesen”), in cui alla democrazia rappresentativa venga sostituita una democrazia consiliare. Il comunitarismo dei CN rifiuta e avversa in toto la concezione comunitaria nazionalista, colonialista ed imperialista del fascismo e quella razzista ed eugenetica del nazionalsocialismo. I CN ritengono che l’uomo sia per sua natura un essere sociale e comunitario o, più precisamente, un ente naturale generico. È dunque impossibile manipolarlo al punto da ridurlo ad una sorta di individuo puro ed astratto, un semplice supporto del sistema dell’individualismo proprietario capitalistico. Ciò non avviene e non avverrà mai. Se per caso potesse avvenire, tutta la tradizione filosofica occidentale sarebbe da gettar via in un cestino dei rifiuti, e saremmo allora di fronte non più all’homo sapiens, ma a qualcosa di inedito che richiederebbe un approccio radicalmente diverso. Non salterebbe solo Marx ma tutta la storia umana precedente. La filosofia dell’individualismo proprietario capitalistico è infatti una mescolanza di nichilismo e relativismo, o più esattamente di nichilismo ontologico e relativismo etico. Di nichilismo ontologico perché la sua società è priva di fondamento sostanziale, e sostituisce questo fondamento con una rete relazionale di rapporti mercantili. Di relativismo etico, perché al di fuori della Merce (che è il suo unico “assoluto”), tutto il resto è relativo al potere d’acquisto del compratore.

3) I comunitaristi della tua corrente sono approdati da poco al marxismo, anche se alla vostra scuola politico-filosofica ha aderito anche il filosofo comunista Costanzo Preve, che ha apportato numerosi ed originali contributi al concetto stesso di comunitarismo. Puoi spiegare la particolare interpretazione del marxismo fatta propria da voi comunitaristi, rispetto ad altre tendenze?

I CN hanno come principale punto di riferimento il pensiero di Marx, in particolar modo la categoria di Gemeinwesen (comunità umana universale) che ha analizzato, intesa come comunità umana cosmopolitica in grado di realizzare ciò che vi è di veramente comune nell’uomo, superando così sia lo sfruttamento classista e capitalista, sia l’individualismo atomistico illuministico. In questo senso, il pensiero dei CN riprende e condivide la deduzione scientifica della necessità storica della comunità umana comunista dove la parola “comunista” sta a rappresentare l’ideale di una comunità umana universalistica emancipata dall’alienazione dei rapporti mercantili e di sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Il Comunismo Nazionalitario riconosce nella categoria di “lavoratore cooperativo associato” il vero punto di riferimento teorico della definizione di Marx, pur comprendendo che le attuali scomposizioni del soggetto di classe, non riducibili ad unum in tutto il mondo, date le differenti condizioni dei lavoratori in Occidente e nei restanti tre quarti del globo, non consentono attualmente di riferirsi ad un soggetto intermodale tale da possedere le caratteristiche attribuitegli a suo tempo dallo stesso Marx. Quindi, pur riconoscendo alla classe lavoratrice il ruolo di soggetto sfruttato e l’esistenza di un “proletariato” atomizzato ed ammettendo che questo proletariato non è più quello delle grandi fabbriche a contratto a tempo indeterminato che aveva anche una forza contrattuale notevole, ma è polverizzato, atomizzato e sommerso (quindi ricattabile sotto tutti i punti di vista), possiamo senz’altro ricorrere ad una più corretta definizione che è quella della lotta tra dominati e dominanti. Sono peraltro convinto che il “nuovo assalto al cielo” non potrà che vedere protagonista il “proletariato universale” e i popoli in lotta per la loro indipendenza, e se questo non si saprà manifestare come soggetto collettivo rivoluzionario, non potremo che registrare la comune disfatta delle classi e dei popoli in lotta. Volendo analizzare che cosa sia oggi il proletariato potremmo cercare di tracciare qualche sommaria indicazione. Il proletariato è la classe di coloro che non detengono i mezzi di produzione. Questa è la definizione primigenia su cui si devono fare i conti. La divisione è dicotomica: proletari di qua, borghesi di là, ma solo all'apparenza le cose sono semplici e lineari. In realtà già Marx individuava una serie di differenziazioni su cui ragionare: aristocrazia proletaria o riserva di lavoro (quelli che qualcuno asseriva Marx non avesse previsto). La definizione precedente è strutturale perché si basa sul punto cardine del marxismo: il processo di produzione e accumulazione capitalista. La definizione è strutturale quindi non è possibile prescindere da essa, però, come dice giustamente Marx, ad una struttura si poggiano innumerevoli sovrastrutture che entrano in relazione con essa; ergo lo scambio struttura/sovrastrutture non è monodirezionale (come qualche economicista asserisce ancora), ovvero non è che le modifiche delle sovrastrutture non influenzino la struttura stessa, il feedback agisce sempre anche se il grado di influenza è estremamente variabile. Il proletariato è strutturalmente ciò che abbiamo descritto, ma esistono innumerevoli variabili che differenziano un blocco che, altrimenti, sarebbe alquanto omogeneo e, invece, non lo è per nulla. Il proletariato varia in funzione del tipo di contratto, dello stipendio preso, della tipologia di lavoro, del sesso, dell'età, dell'etnia e dell'essere occupato o disoccupato e da quanto. Già solo queste poche variabili modulano uno spettro che è vastissimo e molto differente. Cambiano stili di vita, aspirazioni...insomma, linguaggi differenti che a volte sono solo "dialetti" tra di loro, altre volte sono estremamente ardui da interpretare. In linea generale, ci si accanisce a trovare un soggetto unico a cui rapportarsi che, una volta svegliato dal suo letargo, come un titano inizi a scagliar fulmini contro il capitalismo. Secondo noi non è così. La frammentazione della classe, e anche quella individuale, ha fatto sì che non sia più possibile costruire (almeno in tempi medio-brevi) un'unità di classe abbastanza forte da poter contrastare il capitale. In pratica, ci si accanisce a cercare un bicchiere quando in realtà esistono solo migliaia di cocci. Ogni "coccio" ha poi un linguaggio differente, è una comunità a sé e necessita di essere avvicinato con un approccio a sè stante. La distruzione della solidarietà di classe ha contribuito a disintegrare un'altra cosa fondamentale: la cultura di classe. Ma non solo, andandosi a creare un vuoto culturale - amicale, affettivo, socio – culturale, in parole povere, il vuoto è stato colmato dall'aggressività della vendetta borghese. Dagli anni Ottanta tutto ciò che era positivo e vitale, perché nato dal basso, è stato sostituito da una serie di valori che alimentano esclusivamente lo status quo. Dopo il germe rivoluzionario, la borghesia ha deciso di instillare in tutti noi l'anticorpo per eccellenza: l’imborghesimento. Quest’ultimo è una proposta anti-culturale che anestetizza le coscienze individuali, spinge la delega, provoca il consumismo, svuota la persona di valori fattuali e la riempie di immagini, script precostituiti. Ora viviamo in un processo che si morde la coda: non abbiamo identità quindi non possiamo sviluppare cultura, non sviluppando cultura non possiamo creare identità, perpetuando questo circuito capitalista .Il proletariato, come si è detto, è variegato e contrastante. Nella varietà c'è la bellezza oltre che la difficoltà. Ora, si può tentare di suddividere il proletariato in sottocategorie, in funzione di un'utilità pratica. In questo discorso si inseriscono tutti coloro che proletari non sono ma, per un fattore di sensibilità individuale, si identificano con essi. Si può tentare di suddividere la questione in due macro categorie che però non sono nette e precise, ma presentano confini eterei e osmotici. C'è sicuramente un proletariato "stabilizzato" che, nonostante viva una condizione di precariato oggettivo, si identifica come una classe a sé, stabile e immutabile. Chi possiede strumenti critici e coscienza tale da rimanere sempre a galla, chi possiede un mestiere a tempo indeterminato e categorie simili. Costoro, non possedendo un mezzo di produzione, di fatto possono cadere dal piedistallo, ma l'immagine che hanno di loro è di essere realizzati. Questa categoria non è allettata da un discorso comunitario, perché la condizione che vivono li spinge a compensare la carenza di solidarietà con il consumo spregiudicato a medio-lungo termine (mutui, rate...). Dall'altra parte abbiamo un proletariato instabile che vive una condizione di precariato persistente. Se la categoria precedente è la nuova forma di aristocrazia proletaria, questa è la riserva di manodopera a basso costo di marxiana memoria. Questa categoria molto eterogenea si muove in maniera spasmodica per uscire dalla sua categoria , intesa comunemente in termini sociali come categoria di "esclusi". Mentre il proletariato stabilizzato ha un'identità (per loro "pseudo identità" perché non reale come può esserla per la borghesia) in comune con la borghesia, questi ultimi sono invece considerati appartenenti a una non-categoria che è simile ai paria indiani . La difficoltà degli esclusi è che, al momento, non hanno nessuna volontà se non quella di uscire da questa condizione. Siccome uscire è difficilissimo, l'importante almeno è non sembrarne appartenenti. La solidarietà di classe è quindi necessaria quanto al momento rifiutata. Un'identità ha necessità di una cultura sua, un linguaggio proprio. Identità e cultura vanno di pari passo. La questione culturale ci spinge a pensare in termini esattamente opposti alla strategia della cultura popolare del PCI. Loro pensavano di contaminare settori non proletari (tipo i cattolici) non completamente ostili al comunismo con una cultura collettiva che spingesse verso il socialismo. La cosa funzionò (parzialmente) anche perché in quel periodo il movimento operaio era forte e poteva "esportare" delle sue caratteristiche. I CN, per questo motivo, rifiutano le derive deterministe ed operaiste di matrice engelsiana e kaustkiana, preferendo analizzare in modo non dogmatico quanto c’è ancora di attuale nel pensiero originale comunitario di Marx. I CN, parimenti, riprendono il concetto marxista di società socialista, intesa come superamento delle divisioni economiche e delle contraddizioni del modello capitalista e della conseguente alienazione sociale e, quindi, della disgregazione del tessuto comunitario verso l’atomismo individualista. Il Comunismo Nazionalitario accetta entrambe gli elementi filosofici costitutivi del pensiero marxista, sia quello utopico che quello scientifico, considerandoli come elementi indispensabili per una corretta visione del pensiero marxista comunitario.

4) Cosa propongono i Comunisti Nazionalitari- comunitaristi in politica interna ed economica?

Noi siamo per la democrazia diretta di tipo consiliare, cioè fondata su assemblee semipermanenti del popolo decentrata e vicine ai gruppi più umanamente riunibili ( sia in termini numerici per la quantità più piccola, sia in termini di familiarità tra individui). Inoltre , sottolineerei, l’importanza delle comunità intermedie come ad esempio i nuclei familiari ( nuclei costitutivi dell’aspetto educativo dei figli) nonché solidali per struttura. Un errore del comunismo storico è stato quello di voler idealmente saltare ogni formazione intermedia ( se non utilizzandola in via funzionale) , io ritengo invece che l’attenzione alle comunità intermedie , famiglia, assemblee locali a partecipazione costante con conoscenza dei membri fra di loro sia qualcosa di cui i comunisti delle comunità oggi dovrebbero riappropriarsi. La democrazia diretta, tra l’altro, è stata recentemente utilizzata nelle assemblee decisive del Sessantotto come l’esperienza dei consigli di fabbrica del 1969 nelle grandi imprese industriali. Oggi forme di democrazia diretta e collegiale vengono utilizzate nel Chiapas liberato zapatista o dai circoli bolivariani nel Venezuela di Chavez o anche all’esperienza cubana dei Comitati locali che funzionano bene come esperienza di raccordo. La democrazia consiliare (D-C) è diversa dalla democrazia parlamentare sotto molti aspetti importanti. Anzitutto, la democrazia d-c. riguarda tanto poter esprimere delle idee quanto approvarle. Nella democrazia parlamentare al popolo non viene mai chiesto quali idee abbia: viene solo richiesto alla gente di “approvare” o “disapprovare” idee già preparate per loro. In questo senso la democrazia diretta è radicalmente diversa. Essa si basa sulla nozione realistica che “il popolo sa come occuparsi al meglio della propria condizione”. Non abbiamo bisogno di specialisti che ci dicano come gestire i nostri luoghi di lavoro o le nostre comunità. Gli anarchici ed i comunisti anarchici ad esempio ritengono che siamo capaci di farlo noi stessi. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno sono le risorse e il diritto di comportarci in questo modo. La democrazia d-c è il metodo. La democrazia consiliare si basa sulla delega e non sulla rappresentatività. La differenza cruciale tra delega e rappresentatività è che i delegati sono eletti solo per realizzare specifiche decisioni. I delegati non hanno il diritto di cambiare una decisione presa in precedenza da un’assemblea popolare. I delegati (a differenza dei rappresentanti) possono essere immediatamente revocati e sostituiti se non adempiono alla specifica funzione attribuita loro. La democrazia diretta riguarda i luoghi di lavoro quanto la comunità. Nella democrazia parlamentare, il luogo di lavoro è “immune” dalla democrazia (eccetto per i diritti che i lavoratori hanno conquistato tramite i loro sindacati). Nella democrazia diretta il funzionamento di una fabbrica, di uno stabilimento o di un ufficio è gestito attraverso un’assemblea generale di tutti i lavoratori. Questa assemblea deciderà sulle condizioni di lavoro, eleggerà dirigenti revocabili e organizzerà il lavoro. Eleggerà anche delegati che si coordineranno con gli altri luoghi di lavoro e con la comunità esterna. Le organizzazioni regionali saranno gestite da una federazione dei luoghi di lavoro tramite una struttura per delegati. Il Comunismo nazionalitario, pertanto, critica il modello democratico rappresentativo occidentale bipolare e si fa propugnatore del modello democratico diretto, proponendo la costituzione di consigli comunitaristi. Come detto prima, in quanto marxisti, i CN sono anticapitalisti, in quanto vedono nel capitalismo e nel liberismo l’arma economica dell’imperialismo occidentale ed il fattore principale di alienazione sociale e di disgregazione atomistica individualista. Pertanto, i CN condannano il capitalismo ed il liberismo come contrari ai principi della Gemeinwesen così come elaborata da Marx. Il capitalismo, nell’ottica comunitarista, sostituisce la centralità del soggetto umano con la centralità dell’oggetto merce; questa sostituzione necessaria nel capitalismo trasforma i rapporti umani in rapporti di tipo mercantile, eliminando progressivamente i rapporti di cooperazione ed assistenza reciproca comunitari, con rapporti di tipo competitivo e, quindi, di scontro reciproco. Conseguentemente, l’anticapitalismo si configura come un’opposizione al progetto economico e culturale di globalizzazione forzata che non tende ad avvicinare tra loro le comunità ed i popoli, ma ad inserirli in un’ottica obbligata che annulla forzosamente le differenze, modellando ogni comunità ed ogni realtà locale sul prototipo di quella occidentale-americana e ad inserirli in una prospettiva oppositiva di un Libero Mercato, completamente sbilanciato dalla parte degli Stati e dei popoli economicamente e politicamente più forti, creando così un nuovo ed ulteriore strumento di sfruttamento del centro capitalista verso la periferia globale.Vorrei insistere, approfonditamente, su un paio di punti. Il fulcro del movimento capitalista, come lo stesso Marx vide molto bene è la lotta incessante tra capitali, e quindi, tra detentori del capitale, i capitalisti. La lotta fratricida è il motivo dominante dell’esistenza di ogni individuo che sia dominato o dominante, poiché la spinta oggettiva del sistema, la concorrenza per la sopravvivenza, costringe le persone a lottarsi le une contro le altre per acquisire una fetta del reddito totale a scapito delle altre. Il sistema è strutturato in modo tale da rendere le risorse scarse, simulando una scarsità permanente fittizia che in realtà, posto il livello elevatissimo potenziale di risorse vitali di oggi, non esisterebbe. E’ chiaro che in un contesto generale di sovrabbondanza di risorse senza vincoli di proprietà non esisterebbe l’economia, come studio della distribuzione delle risorse. Tuttavia su questo punto bisogna fare attenzione. Se in natura esiste scarsità di beni nelle condizioni più misere di un’ economia primitiva, in una società postindustriale quale quella odierna non vi è sicuramente scarsità di beni in senso stretto. Ciò di cui vi è scarsità è il sapere (cioè le risorse umane e tecnologiche di cui vi è bisogno per far fronte alla produzione di beni ) e la proprietà. Il capitalismo, al contrario del socialismo, è un sistema economico il cui fondamento è il diritto riconosciuto e difeso (dal monopolio della legge e della violenza costituita) di proprietà privata su qualunque cosa esistente. Da cui deriva che il motore della produzione capitalistica deve essere la concorrenza tra individui al fine di accedere al riconoscimento giuridico di proprietari, riconoscimento che diviene la leva virtuale per creare ad arte la scarsità di risorse che di per sè non lo sarebbero ( posto che le risorse presenti oggi sulla terra sotto forma di beni e di flussi di beni sarebbero sufficienti per soddisfare oltre le mere sussistenze della totalità degli uomini). Tutto il sistema è una frenetica corsa alla creazione fittizia di scarsità. E cosi’ diviene inquietante ascoltare voci che acclamano la concorrenza come motore per abbassare i prezzi e ridurre gli strapoteri delle cosiddette corporazioni. Senza entrare, in questa sede, nel merito delle concrete liberalizzazioni e aperture alla concorrenza messe in atto da questo governo ultraliberale ( tutte tese a colpire le categorie più deboli e non certo i poteri multinazionali) , guardiamo alla questione in senso generale. La concorrenza è fatta per distruggere se stessa. Si concorre per eliminare il concorrente e acquisire posizioni di monopolio. Se in uno stato più subdolo e secondario del capitalismo la concorrenza si presenta ai nostri occhi sotto forma di creazione di scarsità fondate sulla moda, sul marchio, sulla pubblicità e sull’attrattiva che fa leva sulle più meschine passioni dell’animo umano, in uno stato primario e macroscopico della guerra capitalistica la concorrenza è lotta per i diritti di proprietà ( e quindi di monopolio oggettivo ) sulle risorse primarie e limitate della terra ( petrolio, acqua, gas, legno, terre fertili). Aumentare la concorrenza ( con una politica ad hoc ) è come voler restituire le armi al nemico quando ormai è stato sconfitto, restituirgliele non per giungere ad una giusta e sacrosanta pace ( il socialismo ), ma per tornare a fare una nuova e più sanguinosa guerra con mezzi sempre più nuovi e terribili. Ridare quindi al nemico ( il concorrente ) le sue armi per riprendere le ostilità. La nuova guerra fa nuovi morti, nuovi sconfitti, come tutte le guerre, ma mentre essa si consuma e produce sciagure e terremoti, ecco che le autorità della concorrenza intervengono per ripristinare le regole e le condizioni del meraviglioso e perverso gioco: e si può ricominciare a combattere da pari. La scarsità nell’abbondanza, è, l’abbiamo detto, una creazione continua e infinita, frutto di temporanei o permanenti che siano, monopoli o oligopoli che si creano e si distruggono per ricrearsi da se stessi in maniera più o meno violenta. Che la concorrenza possa essere talmente continuativa nel tempo da non permettere mai l’insorgere, pur passeggero, di un monopolio ( il sogno agognato di un onesto liberale) è, a ben vedere, una pura aberrazione ( una delle cose più strane e incredibili a cui si possa pensare e che ad un’analisi più approfondita si vede come sia il frutto maturo e diretto del pensiero liberale più puro e delle sue implicazioni…ma questo è ora un argomento ulteriore ). La cosiddetta concorrenza perfetta è come chiedere ai poveri soldati impegnati nel 1915 sul fronte franco- tedesco, nella grande guerra, di continuare la battaglia di posizione infinita senza mai avanzare, mai arretrare, mai uccidere un nemico (o al limite per un nemico morto perdere anche un proprio compagno), insomma, chiedere loro di non acquisire alcuna posizione di vantaggio (facendo di tutto per non cederla nemmeno) rimanendo allo stesso tempo, forti, accaniti, agguerriti e assetati di sangue e vittoria. Dovete voler vincere,ma non potete. Ma insomma, la guerra è guerra. Oggi l’ideologia della concorrenza ha preso piede e ha scavato le coscienze individuali fino a imporsi come una necessità metafisica. Tutta l’economia liberale è una costruzione ideologica posta a paravento del sistema capitalistico, ne è il suo riflesso soggettivo. La sinistra oggi è la prima portatrice dell’ideologia liberale della concorrenza fratricida come elemento fondativo della società, ed è per questo che la sinistra liberale è oggi il peggior profilo politico contro cui ci si deve confrontare ( proprio perché confonde e disperde la coscienza popolare atomizzandola verso sempre peggiori forme di individualismo politico ed economico, mascherate da socialismo emotivo ..come dichiarò l’ultraliberale capitalista Zapatero ). Solo capendo questo ci si può liberare dallo spettro del bipolarismo ingannatore ( che pretende offrire differenze mascherate da un’unica ideologia comune ). Rovesciando la logica della concorrenza, i cn-c, pretendono opporre la logica della cooperazione e della solidarietà incondizionata, opponendosi alla marea ideologica dominante in questa fase storica. Un altro elemento indispensabile alla sopravvivenza materiale ed ideologica del capitalismo sorretto dal liberalismo politico di facciata e dalla democrazia rappresentativa plutocratica, è il progresso tecnologico. Il pensiero liberale si fonda sulla pura oggettivazione della materia. Ovvero sulla concentrazione esclusiva dell’azione sociopolitica sull’aspetto brutalmente materiale delle cose. In questo senso, il comunismo rappresenta la forma più alta e completa di rivoluzione spirituale, per quanto la si voglia ricondurre a un pensiero di ordine materialistico. Il miracolo di Karl Marx, a mio modestissimo parere, fu quello di riunire in un unicum spirito e materia evocando l’unione della materia ( la solidarietà materiale degli uomini nei loro bisogni oggettivi ) come condizione necessaria , ma non sufficiente, per il comunismo. Se poi qualcuno l’ha voluta vedere come condizione necessaria e sufficiente, questo non riguarda che minimamente il martoriato Karl Marx. Il liberalismo, e lo dimostra in tutta la sua prassi politica, procede dai processi oggettivi dell’egoismo materiale umano, sul punto intoccabile della massimizzazione del piacere individuale come base fondativa del pensiero politico stesso. Tutti i capisaldi liberali affondano le radici nel paradigma della massimizzazione dell’utilità. Ma dov’è il miracolo del liberalismo, ciò che l’ha fatto diventare una religione tra le più venerate nella storia dell’uomo ? Ebbene è il suo risvolto sociale, non comunitario, ma sociale. E tale idea di risvolto sociale definitivo del liberalismo è incarnata perfettamente, quasi cristallizzata nel modello di Stato idealtipico socialdemocratico borghese, che, infatti a rigore, è l’acerrimo avversario logico e ontologico del comunismo. Cosa voglio dire esattamente ? Il progresso tecnico e il miglioramento del livello di vita puramente materiale che oggettivamente si è determinato nei secoli del capitalismo in buona parte del mondo, è il cavallo da guerra del capitalismo e del pensiero liberale posto a sua ideologica giustificazione. Il progresso rende tutti indiscriminatamente più ricchi, più sicuri, allontana la morte, vince le malattie, ed esso si genera in forma esasperata, eppure involontaria nella finalità sociale ( qui Adam Smith coglie il centro della questione ), in una società dove si riconosce l’interesse materiale e lo si legittima come fondamento della socialità. E’ un paradosso ? Si, ma terribilmente efficace e devastante. La socialità liberale è nella competizione che devasta il tuo amico, ma alla fine gli ritorna utile in termini di puro vantaggio materiale. La spinta alla concorrenza e alla competizione, alla lotta fratricida per avere di più spinge ciascuno a minimizzare i costi, a migliorare la tecnica, a ottimizzare. E l’ottimizzazione della propria opera quantitativa diviene obiettivo primario dell’agire sociale. Tale ottimizzazione per forza di cose non può che portare al progresso tecnico ed il progresso tecnico per forza di cose, seppur lentamente e con difficoltà si spande sull’intera umanità. Chi nega questo dicendo che in Africa si muore di fame ( verissimo, ma non è il punto della questione ) non ha capito nulla del problema del capitalismo . Infatti in Africa si smetterà un giorno o l’altro di morire di fame eppure, salvo rivoluzioni soggettive dello spirito, il capitalismo potrà permanere indisturbato. E qui tanti comunisti si sono sbagliati, a partire da Rosa Luxembourg che profetizzava l’espansione del capitale nel globo come ultima sua fase di potenziale esistenza. Grave, gravissimo errore. Perché il capitale vive di differenze relative , non assolute, il capitale può portare, nel tempo, e lo fa, il benessere materiale senza intaccare se stesso in maniera eccessiva. Il liberalismo, cavallo ideologico del capitale, è diventato religione, per il potere del capitale di generare progresso tecnico e materiale nella vita degli individui resi individualisti, in un meccanismo causa effetto, dalla stessa religione dominante, il liberalismo. Il liberalismo si fa accettare dall’operaio come dal capitalista, dal panettiere come dal disoccupato e dal finanziere, perché tutti pensano che prima o poi ce ne sarà per tutti e che se la concorrenza aumenta di questo beneficeranno tutti. E la cosa drammatica è che questo, in parte ovviamente, è terribilmente vero, anche se nel lunghissimo termine. Non c’ è nulla che sia più pericoloso di un’analisi politica ed economica che tenti di valutare la bontà del capitalismo sulla base della sua capacità di generare benessere fisico e materiale. E ora torno alla socialdemocrazia liberale. Essa è il punto culminante, contraddittorio e allo stesso tempo scontato dell’ideologia liberale, che trova nella sua variante sinistra il terreno più consono e perfetto. Cosa fa la socialdemocrazia ? Essa accelera ( e questo contingentemente nel breve periodo è pur sempre un bene ) quel processo di spargimento del benessere materiale sulle classi sociali schiave del capitale. Lo accelera perché lo politicizza facendolo uscire dal suo normale decorso naturale e fisiologico. Economisti come Stiglitz e tanti altri sono la voce sonora di tale pensiero liberalprogressista. Il succo è questo : nella fervida lotta tra uomini per il dominio dell’uno sull’altro ci sono vincitori e perdenti. Se i vincitori, dopo aver vinto ( e nel frattempo in virtù della lotta stessa e della competizione si è generato il progresso tecnico utile per scavalcare il prossimo ) ricompensano i perdenti, allora il sistema ha generato progresso per tutti. E la vita, e lo spirito, e l’amore fraterno, e i rapporti comunitari, e la famiglia, e la comunanza delle cose, e la virtu’, e la voglia di essere, lavorare, collaborare, fare comunità ???Al diavolo…. questo fa parte della sfera dei singoli individui, lo Stato non se ne può occupare, lo Stato deve pensare al benessere materiale, e ci può riuscire con la logica della guerra fratricida, purché poi ridistribuisca le vincite della tecnica. Ecco il liberalismo e la sua essenza vitale e filosofica, ecco la religione che ci propugnano a cui la gente, quasi tutti ormai, hanno finito per credere. E il progresso materiale è la sua spada , il suo simbolo, la sua unica verità profonda e sacralizzata. Quindi i cn-c, oggi, devono abbandonare radicalmente il concetto di progressismo, ritenendo obsoleta e fuorviante la dicotomia progressista-conservatore ,che serve solo a simulare finti dibattiti bipolari tipo “temi etici “, vedi i pacs o i dico, in cui le posizioni progressiste e conservatrici si scontrano come in un teatrino dell’assurdo. I cn-c, superando lo scontro di facciata tra progresso e conservazione, sono favorevoli al mantenimento e al rispetto della tradizione e del costume comunitario dei popoli, sono favorevoli al progresso scientifico quando esso è funzionale alla vita umana, ma sono contro ogni manipolazione dell’individuo in nome del progressismo. La proprietà privata, quindi, deve essere soppressa come rapporto sociale, come generatrice di ricchezza e di competizione.Il problema fondamentale , di cui molti pseudomarxisti oggi liberali non si avvedono, è che non è la distribuzione della proprietà privata tra le persone ( più iniqua o meno iniqua ) a essere determinante, quanto piuttosto l’esistenza stessa della proprietà privata come rapporto sociale ed economico. Il giudizio su una comunità non può essere dato in base alla distribuzione della proprietà tra la gente (come vorrebbe la teoria del “siamo tutti proprietari al giorno d’oggi), ma sulla maniera di relazionarsi delle persone tra di loro a livello economico, cioè sulla base della concorrenza ( come presuppone l’esistenza della proprietà privata come rapporto giuridico) o sulla cooperazione. Bisogna spostare l’attenzione dalla proprietà privata ( dove con essa intendiamo un rapporto sociale di competizione e/o di sfruttamento ) alla proprietà propria, cioè a ciò che ci appartiene in quanto fonte di valore d’uso ( una casa, una terra coltivata, dei vestiti etc ) cioè tutto ciò che è utile all’esistenza. La proprietà propria unita a quella collettiva pubblica sono le forme corrispondenti alle reali necessità dell’uomo, fatto di intimità e personalità e di spirito comunitario allo stesso tempo. Comunità comuniste danno alla proprietà un esclusivo valore d’uso o valore affettivo, cioè valore di appartenenza, di storia, di tradizione. Il personale, ciò che ti appartiene perché è tuo, quindi è invendibile in quanto possiede un valore non mercificabile, si affianca al collettivo, ciò che è in comune ( il lavoro cooperativo, i servizi, le terre comuni, i boschi, la natura, ) Oggi molti credono che con la diffusione capillare della proprietà ( sotto forma di titoli azionari o di case…cosa peraltro assolutamente falsa nei fatti ) si possa superare il capitalismo da sfruttamento. Nulla di più falso e ingenuo. Come Marx insegna, la proprietà in sé è il presupposto per la formazione di monopoli sempre nuovi. E anche qualora esistesse una reale diffusione proprietaria con una reale diffusione delle ricchezze , questo non cambierebbe il motivo dominante della società capitalistica, fondata sull’appropriazione e la rapina, e la concorrenza tra proprietari permanente. I cn-c, valutando ideologicamente incompatibile il progetto economico-politico capitalista con le proprie idee (ritenendolo responsabile del deterioramento dei rapporti comunitari), sono favorevoli in via di principio alla necessità di imboccare un insieme di pratiche sociali ispirate alla teoria della decrescita, senza per questo abbandonare le teorie che propongono uno sviluppo controllato e selezionato alle necessità. Le risorse naturali sono limitate e non si può immaginare un sistema votato ad una crescita infinita. Per questo, come CN, sosteniamo e diamo un contributo militante allo sviluppo di tutte quelle forme di resistenza (dolce) al capitalismo consumista: i GAS, Gruppi di Acquisto Solidale, gli Ecovillaggi, la Bioedilizia , l’uso delle energie alternative, etc. Ritengo questo tipo di lotte necessarie per la presa di coscienza delle Comunità locali, ma dobbiamo, anche, pensare ad avere strumenti teorici adatti allo scontro con i “dominanti”, degne di interesse, uniche, sono le analisi (economiche) del Prof. G. La Grassa, punto di riferimento teorico per tutti gli anticapitalisti e antimperialisti. I CN propongono un’etica ambientale di responsabilità verso le generazioni future, vedendo in esse i soggetti passivi verso cui ricadranno le conseguenze delle scelte delle generazioni presenti .Pertanto, i cn-c rifiutano la visione dell’ambiente come merce di scambio e come proprietà privata della generazione umana presente, ma prendono atto che l’ambiente stesso è soggetto vivente a sé stante, dato in prestito dalle generazioni passate. I cn-c, inoltre, sostengono le lotte ecologiste delle piccole comunità locali a salvaguardia della biodiversità dell’ambiente in cui vivono, sull’esempio della comunità della Val di Susa, convinti che tale difesa non favorisca solo la sopravvivenza dell’ambiente come semplice struttura, ma che una corretta politica ambientale locale preservi e protegga i valori stessi della comunità di riferimento dal disgregamento. Nell’ottica anticapitalista, i cn-c appoggiano le politiche sociali di redistribuzione delle terre coltivabili nella periferia capitalista (vedendo in questa politica redistributiva di tipo socialista anche una valorizzazione delle terre lasciate incolte) ed i progetti di accesso all’acqua da parte dei quasi due miliardi di persone che oggi ancora non godono di questo diritto, attraverso politiche di redistribuzione idrica e di contenimento degli sprechi e dei consumi da parte dei Paesi del centro capitalista, sicuri, tra l’altro, che l’acqua non sia più solo un diritto dell’umanità intera, ma sia diventato uno strumento di controllo imperialista del centro nei confronti della periferia.I cn-c prendono le distanze dalla visione democratica occidentale della logica dialettica bipolare. I cn-c considerano quest’ultima come la malattia cronica ed endemica della democrazia rappresentativa di tipo occidentale in quanto favorisce (come dimostra anche la teoria dei giochi) la convergenza dei fronti politici originariamente contrapposti verso un centro grigio comune che, appiattendo ed annullando ogni dialettica politica interna al sistema di riferimento, di fatto crea una corrente di pensiero a senso unico. Scompare così qualsiasi reale opposizione e visione politica e sociale che esuli da questa convergenza necessaria e si crea un invisibile ma reale regime a partito unico che annulla le differenze e pone automaticamente come alieno ed estraneo ogni progetto politico che esca dagli schemi tacitamente e spontaneamente concordati dalle parti.I comunisti nazionalitari rifiutano di inserirsi nella falsa logica dicotomica occidentale democratica di sinistra/destra in quanto toglie ogni reale partecipazione alla vita politica del cittadino comune ed annulla e cancella così in questo ogni pensiero politico e sociale originale e proprio sostituendolo con un programma sostanzialmente unico per entrambi gli schieramenti già preconfezionato.

5) Quali sono i vostri obbiettivi in politica estera?

Seguendo i principi del comunismo marxista e del nazionalitarismo, il comunitarismo condanna e si oppone ad ogni forma di imperialismo, qualsiasi forma prenda nelle fasi storiche e da qualsiasi parte esso provenga e con qualsiasi mezzo esso venga attuato. È innegabile che stiamo vivendo in un’epoca profondamente multi-imperiale caratterizzata da un incontro/scontro di logiche imperiali politiche, economiche e culturali. Di questa moltitudine di Stati imperialisti portabandiera sono indubbiamente gli Stati Uniti in quanto propugnatori di un’egemonia aggressiva e senza via d’uscita, sia in ambito politico che economico ed, infine, (ancora più grave) sociale e culturale. Il modello americano (way of life), il liberismo, i valori neoconservatori della “guerra di civiltà”, la teoria della guerra preventiva e dell’esportazione della democrazia occidentale sono le armi ideologiche con cui gli Stati Uniti ed i loro alleati occidentali e non stanno portando avanti la loro aggressione negli attuali fronti di scontro più importanti e coincidenti con la lista di proscrizione dei così chiamati “stati canaglia”: Afghanistan, Iraq, Siria, Cuba, Iran. Un discorso particolare che si inserisce all’interno dell’imperialismo mondiale va fatto per “Israele” e per il sionismo. I CN condannano senza incertezze la politica imperialista e colonialista sionista di “Israele”; condannano il genocidio continuo del popolo palestinese da parte di “Israele”; condannano la politica di aggressione e occupazione sistematica da parte dello stato sionista diretta contro gli stati arabi confinanti: Libano, Siria, etc.; condannano la politica di deportazione e di colonizzazione illegale delle terre palestinesi espropriate; condannano la politica di apartheid e di bantustanizzazione di “Israele” nei confronti del popolo palestinese; condannano e denunciano l’utilizzo strumentale e propagandistico della Shoah assunta a religione della memoria e del “perché non accada mai più” come alibi per giustificare ogni genere di azione illegale e imperialista. I CN condannano, altresì, e si oppongono alla politica degli Stati che appoggiano e sostengono il colonialismo imperialista e genocida di “Israele”; si oppongono e condannano la soluzione iniqua della teoria dei “due popoli, due Stati”. I CN auspicano la fine dello Stato illegale di “Israele” e la nascita di un unico Stato di Palestina, multireligioso e multietnico, con parità di diritti concreti e di possibilità economiche e politiche con capitale Gerusalemme. I CN si oppongono e condannano altresì tutte le forme di imperialismo economico di tipo neocoloniale e pertanto condannano e si oppongono agli Stati che le applicano come Italia, Francia, Regno Unito, Brasile, Russia, Giappone, Messico, Sudafrica, Nigeria, Cina ed auspicano un nuovo fronte dei “paesi non allineati”come possibile contraltare alle logiche di guerra.

6) Sarebbe possibile, anche non nell'immediato, che vi costituiate in partito politico?

Attualmente il progetto comunitarista è come dice la definizione stessa un progetto che si articola attraverso la rivista trimestrale “Comunitarismo” che uscirà con numeri monografici a cui si affiancherà il quadrimestrale”Comunità e Resistenza”, ed i mezzi informatici (il forum di discussione Comunismo e Nazionalitarismo (http://www.politicaonline.net/ e il sito internet www.comunitarismo.it . Attraverso questi mezzi, i CN hanno portato e stanno portando avanti innanzitutto un’opera di diffusione delle idee comunitariste, sviluppate dal pensiero politico e filosofico di Costanzo Preve (che fa parte della Redazione della Rivista), ma anche le teorie di altri “eretici” del pensiero marxista odierno, G. La Grassa, M. Bontempelli, G. Paciello, M. Manno ed altri,svolgono anche un’opera di sostegno e di controinformazione sia dei movimenti di resistenza e di liberazione nazionale nel mondo (con uno sguardo necessariamente più attento e partecipante in Palestina, Iraq, Afghanistan e recentemente Libano), sia dei popoli e delle nazioni che si oppongono all’imperialismo occidentale e filosionista (Cuba, Iran, Venezuela, Siria, Bolivia). Indubbiamente in questi anni il comunitarismo (così come noi lo intendiamo sulla scia della Gemeinwesen marxiana) ha visto allargarsi il consenso di base e l’interesse di molte individualità (politici, filosofi, etc.) con percorsi politici diversi, ma accomunati dalla volontà di trovare un percorso nuovo ed originale, fondato su solide basi teoriche. Il ringraziamento per questo risultato va ricercato nell’operato sistematico e costante di anni ed anni di persone che hanno creduto nel progetto, nonostante reticenze, intimidazioni, delusioni, tradimenti, abbandoni, etc. Data l’attuale impossibilità di costituirsi in Movimento o Partito, a causa dei mezzi a disposizione, per ora ci siamo riproposti di dar vita una struttura minimale di tipo politico-culturale. Sulla possibile struttura da adottare allo scopo di poter diffondere nelle realtà locali le idee cn-c, proponiamo la costituzione, su base locale, di “Comunità Proletarie Resistenti”, che, oltre a sviluppare un intenso lavoro sociale sul territorio, raccordandosi con le istanze popolari, dovranno diffondere, insieme ad una cultura della socialità, l’essenza delle idee comunitariste ed il consenso attorno ad esse, anche in collaborazione ed in collegamento con tutte quelle realtà che operano sul territorio che abbiano affinità di obiettivi. Quindi i rapporti con tutte quelle forze e movimenti che mostrano comunanza di interessi, va incentivata e favorita, senza nessuna concessione a mentalità gruppettare e settarie che non hanno nulla a che vedere con le logiche dei cn-c, sempre pronti al dialogo ed al lavoro comune con chiunque ovviamente non sia in palese contraddizione con ciò che noi proponiamo.

7) Avete un vostro giornale, Comunitarismo, nel quale viene spesso onorato il ricordo di Ernesto "Che" Guevara, personaggio che appare anche come un archetipo nelle lotte degli oppressi della Terra: quale valore, anche simbolico, ha in particolare per voi la figura di questo personaggio storico latino-americano?

Come ho già detto a “Comunitarismo” si è affiancata “Comunità e Resistenza”. Guevara per noi rappresenta lo sforzo generoso e disinteressato all’affermazione delle ragioni degli umili, degli oppressi e dei popoli oppressi dall’imperialismo. Purtroppo anche la figura di Guevara è al centro della strumentalizzazione della mercificazione da parte di chi intende snaturarne il messaggio di liberazione individuale e collettiva che lui intendeva lanciare. E’ emblematico che questo succeda in Occidente perche’ per i tre quarti del mondo Guevara è rimasto quello che era: un combattente per la liberta’. Recentemente con l’avvento della Rivoluzione bolivariana in Venezuela vi è stata una riscoperta della figura di Guevara che occupa un posto rilevante nell’iconografia chavista come d’altra parte la visione cristologica che in Sudamerica significa riscatto degli umili e degli oppressi. Il Che è stato un rivoluzionario che ha combattuto le forze repressive dell’imperialismo nel mondo intero, un dirigente politico, che, alla testa di una rivoluzione vittoriosa, ha occupato le maggiori responsabilità nel governo cubano, il Che sapeva però che la rivoluzione politica era solo il punto di partenza per la trasformazione della società capitalista. Il Che, era un militante, attratto dalle idee e dal progetto socialista del marxismo; e, ugualmente, sapeva che il Socialismo era solo l’anticamera della costruzione del Comunismo, della società, cioè, dove l’uomo si realizza pienamente fuori dal regno dell’alienazione. La concezione comunista del Che, a parte la sua azione quotidiana, è spiegata in una lettera intitolata “Il Socialismo e l’uomo a Cuba”. Per il Che il Comunismo si acquisisce attraverso un processo di educazione che marcia parallelamente allo sviluppo ed alla trasformazione materiale, il Che non si stancò di insistere sull’importanza che ha l’educazione tecnica ed ideologica, al fine di poter uscire dallo stato di alienazione nel quale ci troviamo. Si può uscire dall’alienazione, dice il Che, utilizzando due direzioni, quella del lavoro liberato e quella della cultura e dell’arte. Senza la fine della mercificazione dell’uomo non ci sarà davvero libertà. “Mi lasci dire-scrive il Che-a rischio di sembrare ridicolo, che il vero rivoluzionario è guidato da grandi sentimenti d’amore”. Come il Marx dell’Ideologia tedesca, il Che pensava queste categorie in termini di relazioni sociali e di nuove forme economiche. Credo che il Che avesse in mente un Comunismo Comunitarista, dove in Comunità Solidali potessero vivere Individui Liberati!!! Il 9 ottobre sono 40 anni che il Che è stato assassinato, va ricordato, e noi, Campo Antimperialista, organizzeremo una due giorni di studio sulla figura e attualità di Ernesto Che Guevara!

[Questo articolo è stato pubblicato sui giornali Caserta24ore, Corriere di Aversa e Giugliano, Qui Calabria, Italia Sociale]



Antonella Ricciardi , 24 maggio 2007